Dai cennati Pontefici furono fatti i primi passi per l’investitura dei regni di Napoli e di Sicilia diversa i sovrani e principi europei per indurli a venire in Italia a difendere le possessioni pontificie  e alla conquista della corona. In seguito, le richieste per l’intervento, furono rinnovate dal successore di Urbano, Clemente IV, inviando l’ Arcivescovo di Cosenza Pignatelli  ad offrire il regno a Carlo d’Angiò, conte di Provenza, il quale  accettando l’offerta fattagli a mezzo dallo stesso arcivescovo  ne riceve l’investitura  confermata da Clemente. Carlo giunse nel porto d’Ostia la vigilia di Pentecoste. Venne in Roma  e una turba di signori romani accorse a visitarlo; fu coronato dal Papa e venne sopra Benevento, a capo di un forte  

esercito  pel tratto della via latina Venafro,Alife ,Guardia Sanframonti , Ponte ed assalite le truppe nemiche, le sgominava. L’esercito di re Manfredi non ancora era abbattuto; si accentrò nei pressi di Benevento per contrattaccare gli invasori nemici. Furono inutili tutti i suoi piani guerreschi, poichè ,ivi , Manfredi doveva constatare, ancora una volta , gli intrighi dei baroni napoletani, vedere con i propri occhi il riflesso del tradimento, e pagare con la propria vita i suoi errori. Questa sanguinosa e storica battaglia segnava la fine degli svevi in Italia, mentre affermava la dominazione angioina - anno 1266.

Nonostante il saccheggio di cui parla l’abate Capozzi la terra di Montecalvo non rimase abbandonata. In anno 1276, troviamo che ne era Signore Matteo di Letto  e nel 1284  Giovanni Mansella possedeva una certa parte di Montecalvo, il rimanente, probabilmente, appartenne alla Regia Corte.

Riportiamo i seguenti documenti del R. Archivio - « Nel libro de restitutione bonorum tempore Regis Caroli Primi - nell’Archivio della Regia Camera fol. 130 a t. e 132, si ha Giovanni Mansella marito di Margarita de Tocco, figlia di Bartolomeo e di Perticosa, figlia di Matteo de Litto Signore di Montefalcone e Montecalvo nel 1276.

Detto Giovanni  Mansella per ‘ prestigi ottenne dal Re certa parte di Montecalvo decaduta alla Regia Corte registro 12940. fol. 1. Possedeva ancora Rocca Gloriosa in Principato Citra donatoli dal Re ai 18, Maggio 1284 - e poi dal Re ripigliata ed in escampio datoli annui onze 50. Possedeva parimenti Buonalbergo in Principato Cifra per parte della moglie donatali dal Re Carlo I nel 1269  e la quarta porzione del Castello de Francoli registro 1291 e 92. C. fol. 58. registro 1294. M. fol. 196, registro 1292, B. fol. 130, registro, 1291-92. A fol. 6. registro 1272. E fol. 179.

Giovanni assai caro al Re lo manda assistente alla fabbrica del Castello di Crepacore e custode di quello, registro 1269, B. fol. 119. fol. 62 e 113-si legge armato Cavaliere registro 1269. A. fo!. 61 e 1276 A. fol. 61. a t. e Giustiziero della Provincia di Capitanata foggia. 65, lo manda in Lombardia a custodire la città di Piacenza contro i nemici suoi e della S. Chiesa (I). Oggi gli eredi Manselli, arano la terra - e ciò da tempo immemorabile. Viceversa, gli eredi di altre famiglie che, senza forse, furono a contatto con la gleba, son passate nel rango aristocratico. Si avvera, egregiamente, il ciclo della Storia. « In un ordine di Carlo I° di Angiò del 1269 datato da Lucera, dovevasi ricostruire il Castello di Crepacore, tolto ai saraceni e le opere essere dirette da Giovanni di Salerno (Mansella) furono fatte delle requisizioni di uomini per riunirsi a Montecalvo il dì delle Palme di quell’anno. » Giovanni era come un officiale superiore del genio militare.

Nel R. Archivio - fascicolo 94 - dal titolo: Donazioni fatte da Re Carlo I, dopo la vittoria di Corradino - in anno 1269 - troviamo che re Carlo donò la città di Ariano ad Errico Valdimonte, in una a Montecalvo.

(I) Altre notizie più antiche, estratte della famiglia Mansella dal libro intitolato la nobiltà di Salerno. In campo azzurro fascie d’oro, il rastello rosso . La famiglia Mansella godeva nel Seggio di Porta o della città di Salerno. Le prime notizie di essa sono in tempo del Principe di Salerno Gisulfo, ultimo d’origine longobarda  dell’archivio dell’ arcivescovato d Salerno, è strurnento dell’anno 1143, contenente un’altro del  1134, nel quale Adenolfo Mansella, cameriere del Re figlio di Giovanni, figlio di Tirso Conte, congiuntamente con Marotta sua sorella, aderisco allo scambio promesso di dare  alcune case con altre dell’arcivescovado.

Appendice

Premesse

Il papato era stato a lungo in conflitto con la casa imperiale degli Hohenstaufen durante il periodo del loro dominio in Italia. Al tempo della battaglia, il sovrano Hohenstaufen nel Regno di Sicilia era Manfredi, figlio naturale di Federico II di SveviaCorradino, legittimo erede del regno in quanto nipote diretto di Federico, era giovane e si trovava al sicuro oltre le Alpi, in Baviera.

Approfittando di una falsa notizia relativa alla presunta morte di Corradino, Manfredi aveva usurpato il trono nel 1258. Papa Urbano IV, determinato a strappare il regno a Manfredi, nel 1263 aveva intrapreso una trattativa segreta per favorire l'intervento di Carlo I d'Angiò, promettendogli il trono siciliano[1], ma la discesa in Italia dell'Angioino avvenne in realtà solo nel 1265 con il successore di Urbano, papa Clemente IV, il cui pieno appoggio fu decisivo per i successi di Carlo.

Battaglia

Carlo giunse a Roma già nel 1265, ma fu temporaneamente fermato da gravi problemi finanziari: Manfredi, a sua volta, non scenderà in campo contro di lui fino al gennaio del 1266, quando peraltro il grosso dell'esercito franco-angioino aveva ormai varcato le Alpi, e le lusinghe angioine stavano facendo breccia tra i feudatari del regno di Sicilia.

Allarmato dalle diserzioni tra i suoi seguaci e temendo ulteriori tradimenti, Manfredi, chiamato anche Sultano di Lucera (1258-1266)[2], cercò di portare Carlo in battaglia il più rapidamente possibile. L'Angioino tentò a sua volta di far uscire allo scoperto Manfredi, che era asserragliato a Capua, in modo da costringerlo ad una pericolosa traversata degli Appennini, cosa che avrebbe consentito ai franco-angioini di impedire l'arrivo di rinforzi e rifornimenti per l'esercito imperiale. Manfredi peraltro aveva capito le intenzioni dell'avversario e rimase in una posizione fortificata presso il fiume Calore, che in quel punto era attraversato da un solo ponte.

Carlo d'Angiò aveva diviso la sua cavalleria in tre battaglioni. La fanteria e il primo battaglione, composto da 900 provenzali, erano in prima linea, comandati da Ugo di Mirepoix e Filippo di Montfort, signore di Castres. Dietro di loro si trovava il secondo battaglione, che consisteva di 400 mercenari italiani e 1.000 uomini della Linguadoca e della Francia centrale. Carlo guidava personalmente il secondo battaglione. Dietro di loro, il terzo battaglione consisteva in circa 700 uomini della contea di Fiandra sotto Gilles de Trasignies II, Connestabile di Francia, e Roberto III delle Fiandre. Rilevante fu l'apporto fornito a Carlo da un nutrito gruppo di cavalieri della Parte Guelfa di Firenze. Manfredi aveva adottato disposizioni simili. I suoi arcieri saraceni di Lucera erano in prima linea. Dietro di loro si trovava il primo battaglione, 1.200 mercenari tedeschi armati con armature in strati di lastre (una novità per l'epoca), comandato da suo cugino Giordano d'Anglano e da Galvano di Anglona. Il secondo battaglione consisteva di circa 1000 mercenari italiani e 300 cavalieri leggeri saraceni, comandati da suo zio Galvano Lancia. Il terzo battaglione era composto da 1400 feudatari del Regno, sotto il comando personale di Manfredi[3].

La battaglia iniziò al mattino, quando Manfredi fece avanzare la sua prima linea (arcieri e cavalleria leggera) sul ponte. Queste forze attaccarono la fanteria francese, ma furono presto messe in fuga dal primo battaglione angioino. Avventatamente (non è noto se di propria iniziativa, o per ordine di Manfredi, o in seguito, come sembra probabile, all'errata interpretazione di un ordine ricevuto), il primo battaglione tedesco attraversò il ponte e contro-caricò i francesi. In un primo momento, i mercenari tedeschi sembravano inarrestabili: tutti i colpi rimbalzavano sulle loro corazze, e Carlo fu costretto ad impiegare anche il suo secondo battaglione. I tedeschi continuavano ad avanzare, ma i franco-angioini scoprirono che la nuova armatura a strati di piastre non proteggeva le ascelle quando il braccio veniva alzato per colpire ed iniziarono così a colpire a loro volta gli avversari sotto le ascelle. Inoltre i comandanti francesi diedero ordine agli arcieri ed ai fanti, con una spregiudicatezza che all'epoca era ritenuta veramente scorretta, di colpire i destrieri dei cavalieri nemici, causando gravi perdite e notevole confusione nella cavalleria sveva[4].

Le sorti della battaglia da quel momento volsero velocemente contro Manfredi. Tutte le sue forze avevano attraversato l'unico ponte sul Calore per raggiungere il campo: a quel punto, infatti, anche il secondo battaglione tedesco aveva passato il fiume; Carlo aveva allora ordinato al suo terzo battaglione di circondare gli avversari su entrambi i lati, cosicché questi furono rapidamente messi in fuga. Davanti alla disfatta, quasi tutti i nobili del regno di Sicilia, presenti nel terzo battaglione di Manfredi, abbandonarono il campo, lasciando solo il re con pochi fedelissimi compagni d'arme. Dopo aver scambiato la sopravveste reale con il suo amico Tebaldo Annibaldi, Manfredi e i suoi seguaci si gettarono nella mischia, in cerca di una morte eroica, e furono uccisi.

Manfredi viene nominato successivamente nel canto III del Purgatorio della Divina Commedia, in cui viene detto che fu ucciso da due colpi di spada, uno alla testa e uno al petto.

Conseguenze

La distruzione dell'esercito di Manfredi segnò il crollo della dominazione degli Hohenstaufen in Italia e la quasi definitiva sconfitta del partito ghibellino. I resti del Regno di Sicilia furono conquistati quasi senza resistenza. La resistenza ghibellina dei feudatari del Regno si concentrò’ solo in alcune zone. In alcuni casi la resistenza all’Angio’ fu debole e dopo qualche anno la totalità dei feudatari che lo contrastavano si arrese al nuovo Re. In altri casi, come nel teramano, i resistenti fedeli agli Svevi si organizzarono tra loro per destabilizzare le nuove istituzioni angioine fino a porre il dubbio sul sangue reale della casa cadetta di Francia. Alcune famiglie della piccola nobiltà locale, tra Il fiume Tronto ed il fiume Vomano riuscirono, con sorti alterne, a combattere i nuovi occupanti senza riconoscere la corona angiolina, nonostante le scomuniche del Papa e il bando dal Regno divulgato da Carlo d’Angio’. È il caso di Gualtiero, Todino ed Attone di Bellante, feudatari fedeli agli Svevi, i quali lasciarono i loro feudi tra il Tronto ed il Vomano, solo dopo la pace di Caltabellotta (1302), tra Carlo di Valois, (per conto di Carlo II d’Angio’) e Federico III D’Aragona, quando Gualtiero De Bellante, dovendo accettare la pace tra gli Angiò e gli Aragona (Federico III d’Aragona aveva sposato Costanza figlia di Manfredi e nipote di Federico II e rivendicava per se il Regno), dovette trasferirsi in Sicilia alla corte di Federico III d’Aragona. Insediatosi nel suo nuovo dominio, Carlo attese a quel punto la discesa in Italia di Corradino di Svevia, l'ultima speranza degli Hohenstaufen, nel 1268, per sconfiggerlo nella battaglia di Tagliacozzo, imprigionarlo e successivamente farlo giustiziare a Napoli. Ciò segnò la completa vittoria della parte guelfa.

In tutta Italia i ghibellini venivano uccisi e cacciati dalle città: ne parla più volte anche Dante Alighieri nella Divina Commedia, come quando cita Manfredi nel III canto del Purgatorio e lo incontra insieme a Virgilio sulla spiaggia dell'Antipurgatorio nella prima schiera di negligenti, quella dei morti scomunicati. Qui Manfredi racconta a Dante i suoi peccati e fa notare quanto la bontà del Signore sia grande.

Celebrazioni

Nei giorni del 750º anniversario della battaglia, presso il comune di Benevento, sono stati organizzati una serie di incontri, convegni ed eventi per le celebrazioni di tale avvenimento storico. Le manifestazioni, che hanno visto coinvolti anche studiosi e professionisti della ricerca storica, sono state organizzate da diverse associazioni culturali locali, coordinate dal docente del liceo artistico, Francesco Morante.[9]

 

 

 

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