mario aucelliIndro Montanelli ammoniva: “Un Paese che non conosce il proprio ieri è senza futuro”. Mario Aucelli ha voluto caparbiamente recuperare “l’ieri e l’altro ieri” del nostro paese, Montecalvo Irpino. Chissà, forse per prospettare ai propri concittadini, in quest’epoca globalizzata, deprimente e deleteria per le piccole realtà, una qualche traccia, un qualche sentiero, che dal passato prosegua verso l’avvenire. Così, dopo la quarantennale collaborazione con diverse testate giornalistiche e, soprattutto, come cronista del quotidiano Il Mattino di Napoli, e, per altrettanti anni, docente nelle scuole elementari, una volta in pensione, s’è messo a fare un lavoro sistematico per ricostruire la cronistoria del XX secolo di Montecalvo sino ai nostri giorni.

 

 Non è un lavoro su annotazioni diaristiche ma è l’approdo di un’affannosa ricerca dei documenti, conservati negli archivi pubblici e privati, al fine di ricostruire la storia civile paesana contemporanea, senza trascurare le comparazioni con quella nazionale. Trattasi di centinaia di documenti, consultati e acquisiti colla digitalizzazione, in ossequio al gusto attuale dell’immagine, per scrivere dei fatti accaduti e tramandarne la memoria. Un’iconografia sconosciuta ai più, e ai giovani soprattutto, per “storie” che la parola scritta, da sola, non renderebbe compiutamente. Procedendo nella sua frenetica ricerca, ha fatto una scoperta “sconvolgente”: i documenti del proprio archivio e quelli che man mano andava scoprendo e recuperando da altri archivi non erano sufficienti per scrivere, in senso pieno e compiuto, la storia che aveva ipotizzato. Perché esiste, parallelamente alla memoria documentale, una memoria non scritta, “certificabile” solo dagli anziani del paese, vere e proprie “biblioteche” viventi. Infatti, la vita della collettività era ed in parte è ancora fatta di dialetto, usi, costumi, tradizioni, consuetudini, racconti di vita vissuta, che costituiscono la cultura orale, vale a dire tutto ciò che passa da bocca a orecchio ed è documentabile solo con una ricerca sul campo. Mario Aucelli, rimosse le barriere sociali una volta esistenti tra borghesia di paese e contadini, ha cominciato affannosamente a raccogliere anche i ricordi degli anziani dialettofoni, le parole, i detti, i soprannomi, gli aneddoti, i fatti eclatanti accaduti, i mestieri scomparsi ecc. Ma si è accorto pure dell’importanza della scrittura dialettale, perché la traduzione in lingua, da sola, può anche travisare il senso e il significato dei “reperti” raccolti. Ha quindi integrato, con criterio omogeneo, le tre fonti: i documenti scritti, la memoria personale e quella collettiva. Le storie che racconta, si saldano cammin facendo. E ne risulta la ricostruzione di un mosaico, che è il vissuto di una piccola comunità. Ha composto al computer centinaia e centinaia di pagine con la collaborazione di Alfonso Caccese prima e di Antonio Cardillo dopo. Però, alla fine, ne è risultato un libro troppo grande, per cui, anziché scartarne delle parti per farne un volume snello, lo ha diviso e quello pubblicato alla fine del 2010, con DP La Tipografia di Avellino, grazie all’impaginazione di Alfonso De Cristofaro, è titolato Dal fascismo ai commissari civici: Il “Ventennio” a Montecalvo Irpino. Conta 285 pagine per 15 capitoli con tantissime illustrazioni. E non è che un tomo, nell’ambito di ciò che Aucelli va definendo come “La memoria restituita”. E avrebbe potuto anche intitolarlo “Memoria per un paese senza memoria”, questo libro. Un paese, in cui negli ultimi quarant’anni, con l’eccezione di un paio di amministrazioni, quella attuale, guidata da Carlo Pizzillo, che sta operando per riportare in carreggiata il Comune, e quella di Felice Aucelli, si è badato agli interessi di bottega, al proprio orticello, al personale tornaconto, al serbatoio elettorale. E anche chi poteva guardare per vedere più lontano, al bene collettivo, perché ne aveva gli strumenti, se ne è astenuto per convenienza, per non disturbare o inimicarsi i manovratori. Da questo primo volume viene fuori un paese dominato dal fascismo, e quindi asservito ad esso, come d’altronde era l’Italia intera. Montecalvo, considerato un focolaio di pericolosi sovversivi (un’informativa delle spie del regime parla di 300 e più sovversivi aderenti al Partito socialista massimalista) ha pochi antifascisti noti: Pietro Cristino, suo figlio Giuseppe, Gustavo Console (commovente la storia del suo assassinio a Firenze, da parte degli squadristi, nascosto sotto il letto dei figli), Felice Sanità. E tuttavia figure importanti ma pressoché ignorate e dimenticate. E, quel che è grave, anche dalle istituzioni del paese. Alla memoria degli ultimi tre, Aucelli ha dedicato il libro. E lo motiva per iscritto: “… antifascisti, immolatisi per il loro ideale”. E sono, essi, i nostri martiri della libertà democratica. Questo libro parte dal 1922, saltando la Grande Guerra e i primi difficili anni che ne seguirono. Anni cruciali, e, nello scontento sociale che essa lasciò, si consumò la “rivoluzione fascista”, con numerose e sanguinose azioni squadristiche ai danni degli avversari politici, dopo la creazione dei Fasci di combattimento a Milano, il 23 marzo 1919. Poi la Marcia su Roma, del 28 ottobre 1922, a cui parteciparono anche alcuni irpini, tra cui qualche montecalvese. E Mussolini, arrivato in treno, riceveva, dal re Vittorio Emanuele III, l’incarico a formare il nuovo governo. Quindi il delitto Matteotti, il 10 giugno 1924, e le “leggi fascistissime” del 1925 e 1926. Il regime diventava dittatura, con tante restrizioni e l’abolizione dei diritti politici, civili e sindacali. Il libro si sofferma su com’era il fascismo in paese, sugli effetti della riorganizzazione della società e del nuovo modello di educazione dei giovani, a cominciare dalla tenera età, sulla politica demografica e la premiazione delle mamme contadine, vere e proprie “fattrici” per la numerosa prole messa al mondo, e sui compaesani in orbace. Parla del processo ad alcuni fascisti, promosso dal notaio montecalvese Domenico De Cillis, per le intimidazioni e le violenze subite in occasione delle elezioni politiche del 6 aprile 1924. Simile trattamento ebbe pure Pietro Cristino, ma poiché costui non sporse denuncia, il tribunale agì d’ufficio contro gli imputati. La condanna di un responsabile ci fu, ma lui non scontò mai la pena, perché il Partito fascista era ormai al potere. Dopo aver esplicitato un lungo elenco di compaesani illustri, da tener da conto per un aggiornamento della toponomastica montecalvese, il libro si sofferma sulle manovre militari a Montecalvo nel 1936, sulla figura del podestà Ercole Caccese, sull’autarchia, sull’austerità durante la seconda guerra mondiale e il mercato nero. Poi i giochi dei ragazzi, citati col loro nome dialettale e relativa descrizione di svolgimento, la consuetudine a riguardo del fidanzamento, dell’importanza della verginità femminile, del matrimonio, del corredo ecc. Con la seconda guerra mondiale le sofferenze della gente aumentavano, ma il libro, oltre ai nomi dei caduti, riporta qualche simpatico aneddoto, come quello delle sigarette “cu lu sfiziu”, che, comprate al contrabbando, avevano un sovrapprezzo, perché il compratore doveva prelevarle dove la contrabbandiera napoletana nascondeva i pacchetti, vale a dire tra i suoi seni. Poi il triste capitolo dei confinati e perseguitati politici. A Montecalvo ne furono destinati parecchi, tra cui alcuni sloveni. Qualcuno di loro, come il calabrese Antonio Smorto, riuscì a fare proselitismo e a fondare la sezione del Partito comunista italiano nel 1943, intitolata a Giuseppe Cristino, morto in Spagna nel 1941, prigioniero del dittatore Francisco Franco. E Montecalvo, sino agli anni Sessanta, sarebbe stata la “roccaforte rossa” dell’Irpinia. La sezione del Partito socialista, intitolata a Gustavo Console, era fondata nel 1944 nella farmacia di Pietro Cristino. La sezione del Partito democratico cristiano era fondata a Montecalvo nel 1944. In paese si costituì pure il CNL, Comitato di Liberazione Nazionale, sull’esempio di quanto era avvenuto a livello nazionale. C’è poi il capitolo dei commissari civici e il primo commissario, Felice Caccese, fu nominato nel 1943 dal colonnello Alexander White. Poi fu la volta di Pietro Cristino nel 1944, che nel 1946 sarebbe stato il primo sindaco montecalvese democraticamente eletto.  Se già con la fine del fascismo cominciava il fenomeno del trasformismo in paese, in quanto tanti fascisti diventavano democristiani, esso sarebbe continuato anche in seguito e tanti rossi, soprattutto dagli anni Sessanta, sarebbero passati alla Democrazia cristiana. Chiude il libro un lungo racconto del confinato Josip Gravos, tradotto in italiano dalla figlia Borgomila, che vive a Trieste. In esso l’autore parla del suo vissuto a Montecalvo, suo terzo luogo d’internamento, e del buon rapporto avuto coi montecalvesi, al punto da esservi tornato, da cittadino libero, per salutare e ringraziare coloro che gli erano stati amici alleviando i suoi patimenti. (Questo testo, scritto per il Corriere-quotidiano dell’Irpinia, è fruibile nel sito www.angelosiciliano.com).

Zell, 10 luglio 2011 Angelo Siciliano