Di tutti i popoli, di tutte le razze, veniste a noi come fratelli, figli della Spagna immortale, e nei giorni più duri della nostra guerra, quando la capitale della Repubblica spagnola era minacciata, foste voi, valorosi compagni delle Brigate Internazionali, che contribuiste a salvarla con il vostro entusiasmo combattivo, il vostro eroismo e il vostro spirito di sacrificio”.

Dolores Ibarruri, la “pasionaria” della guerra di Spagna, in questo modo ringraziò i volontari che formavano le Brigate Internazionali.

Ma le parole pronunciate dalla rivoluzionaria spagnola erano un grido di dolore, nel ricordo delle migliaia di caduti che avevano contrastato la sanguinosa avanzata del generale Francisco Franco.

Sulla terra di Spagna, lottando per la libertà, fu versato anche sangue irpino:
Giuseppe Cristino, un giovane di Montecalvo si arruolò volontario nelle Brigate Internazionali, ma la sua voglia di giustizia gli riservò un atroce destino.

Nel campo di concentramento di Saragozza, una epidemia di tifo stroncò la sua esistenza terrena. Correva l’anno 1941.

I VOLONTARI  PER LA REPUBBLICA

Tra il 1936 e il 1937, arrivarono in Spagna migliaia di volontari provenienti da varie nazioni con l’intento di difendere il governo democraticamente eletto e presieduto da Manuel Azana, e per combattere al fianco dell’esercito repubblicano.
I volontari delle Brigate Internazionali, provenienti dai cinque continenti, furono circa 40.000 e circa la metà morì in combattimento, fu dispersa o ferita.
Sul campo si contarono circa diecimila morti, mentre i feriti furono quasi ottomila. Altri cinquemila uomini combatterono in unità dell'esercito repubblicano e almeno altri ventimila prestarono servizio nei servizi sanitari o ausiliari.
La ripartizione per nazionalità dei volontari delle Brigate Internazionali fu la seguente: francesi 10.000, tedeschi 5.000, italiani 3.350, statunitensi 2.800, inglesi 2.000, canadesi 1.000. Più diverse centinaia di iugoslavi, albanesi, ungheresi, belgi, polacchi, bulgari, cecoslovacchi, svizzeri, nordeuropei, messicani e africani.
La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nella Brigata Garibaldi, fu quindi consistente e mise in campo alcuni tra i maggiori esponenti dell'antifascismo: i comunisti Palmiro Togliatti, Luigi Longo e Vittorio Vidali, il socialista Pietro Nenni, il repubblicano Randolfo Pacciardi. Tra gli italiani figuravano anche l'anarchico Camillo Berneri e il dirigente di Giustizia e Libertà Carlo Rosselli, che furono tra i primi ad accorrere in Spagna e già nell’agosto del 1936 costituirono la “Colonna Italiana Francisco Ascaso”, una formazione di circa 300 volontari di ogni fede politica.
Le Brigate Internazionali ebbero un ruolo determinante nella difesa di Madrid, distinguendosi nella battaglia di Guadalajara (marzo 1937) e nelle grandi offensive repubblicane su Belchite (agosto 1937), Teruel (dicembre 1937 - gennaio 1938) e sull'Ebro (luglio 1938). Tuttavia, su pressione delle democrazie occidentali impegnate nella politica di “non intervento”, il governo repubblicano decise il ritiro dal fronte delle Brigate internazionali, tenendo una parata di addio il 29 ottobre 1938 a Barcellona.

 

LA PRIGIONIA

Dopo la cattura, Cristino fu rinchiuso nel campo di concentramento di San Gregorio, presso Saragozza, dove fu sottoposto a stringenti interrogatori da parte di un centurione della milizia e di un vicebrigadiere dei Carabinieri, entrambi addetti all’Ufficio Compiti Speciali del corpo di spedizione italiano inviato da Mussolini in Spagna.
Il verbale dell’interrogatorio di Giuseppe Cristino, oltre ad essere un eccezionale documento storico, può essere ritenuto una testimonianza di altissimo valore morale. L’antifascista di Montecalvo, conservando la propria dignità di fiero oppositore del fascismo, nonostante le coercizioni fisiche e psicologiche dell’interrogatorio, ricordò i drammatici problemi sociali della terra d’origine. Inoltre spiegò le ragioni che lo avevano spinto a combattere a difesa della Repubblica spagnola.Questi alcuni stralci dell’interrogatorio: “La situazione dei contadini nel mio paese è delle più precarie, molte volte mancano anche del pane ed io ritengo che la colpa debba attribuirsi al fascismo, che se volesse aiutarli, dovrebbe aumentare le terre da loro coltivate espropriandole, se del caso, ai vari proprietari che ne hanno troppe. La situazione dei maestri elementari, che guadagnano una media di 400 lire mensili, è anche miserrima. Un maestro ad esempio deve istruire centodieci alunni e non può ottenere risultati tangibili. Lo stesso lavoro potrebbe essere fatto da quattro insegnanti, ottenendo così altri tre posti per disoccupati; anche di questo fatto, secondo me, il governo fascista è responsabile. Gli operai ed i muratori soffrono in permanenza in disoccupazione e le paghe sono miserrime. Non posso approfondire le cause di questo stato di cose, però ritengo che il governo fascista non tuteli abbastanza la classe lavoratrice. Io sono studente e come tale trovo che i programmi di insegnamento, specialmente nelle Università, sono basati esclusivamente sul fascismo ed anche dove sono errati ne è impedita la critica e la discussione. Nei littoriali della cultura, ai quali io avrei potuto partecipare questo anno, si debbono presentare dei lavori che non sono ammessi se espongono idee e concetti contrastanti con quelle che sono le direttive imposte dai programmi fascisti.

Non ho approvato la campagna abissina perché per me è stata una vera e propria aggressione contro un popolo inerme ai cui danni sono stati usati metodi di guerra inumani, ad esempio gas asfissianti. Io sono contrario ad ogni violenza. La politica estera del fascismo, per me, è criticabilissima; nel mentre noi eravamo tanto nemici dei tedeschi, improvvisamente Mussolini ha permesso a questi di annettersi l’Austria; ritengo che avrebbe dovuto impegnarsi con la forza poiché la vicinanza della Germania è pericolosissima. Per tutte queste ragioni, nel mio animo ho sempre avversato il fascismo[…]”.
Poi spiegò il passaggio dell’espatrio in Francia fino all’arruolamento nelle Brigate Internazionali: “Nacque a poco a poco in me il desiderio di andarmene dall’Italia e precisamente a Parigi per ammirare le bellezze della città e per cercare in Francia, paese di tutte le libertà, dico meglio, paese più libero, un lavoro che mi desse anche la possibilità di pensare con la mia testa. Questo progetto non potei attuarlo prima perché non disponevo del denaro necessario. Nel novembre dello scorso anno finalmente riuscii a trovare impiego per mezzo del signor Laurenzi di Caivano quale cassiere presso il Luna Park “Pelucchi e Drouet” di Napoli […] Rimasi in tale impegno sino al 1° febbraio circa. In questo periodo di tempo potei risparmiare circa ottocento lire. Approfittando di una gita collettiva a Parigi […] potei parteciparvi con la spesa collettiva aggiratesi sulla cinquecento lire”.
Nella capitale francese, Cristino conobbe un certo Martinelli che lo inserì nell’ambiente degli esuli antifascisti. Dopo aver dimostrato la propria avversione al regime di Mussolini, espresse la sua lucida scelta politica: combattere il tentativo di rovesciare la Repubblica spagnola, anche a costo di affrontare in battaglia i propri connazionali. Queste le parole del giovane irpino: “Potei finalmente essere inviato in Spagna dopo quasi 20 giorni di permanenza a Parigi […] Una volta fatto prigioniero, a chi mi domandava dei miei sentimenti politici ho dichiarato francamente che sono antifascista […] Sapevo perfettamente, venendo in Spagna, che forse mi sarei trovato a combattere contro le truppe italiane. Questo fatto in certo qual modo mi dispiaceva, ma non lo consideravo un ostacolo insormontabile alla linea di condotta che mi ero prefisso, e cioè quella dell’essere io un antifascista”.
Nel frattempo la famiglia continuava a restare all’oscuro della sorte del giovane, nonostante la polizia fascista fosse al corrente del suo arresto. Solo nel giugno del ’39, ai genitori giunsero prima un biglietto di un suo compagno di prigionia, e poi una lettera dello stesso Giuseppe, prigioniero nel campo di concentramento di San Pedro de Cradenas, presso Burgos. Questo il testo della missiva indirizzata alla madre il 24 giugno 1939: “Cara mamma, dopo molti tentavi per ottenere vostre notizie solo in questi giorni sono stato informato che avete ricevuto una lettera da un mio amico americano. Sono stato molto contento e incoraggiato a fare un altro tentativo. Credo che ora sappiate la mia condizione attuale dalla quale spero di uscire presto. Ciò che mi ossessiona, che mi rende più insopportabile la pena è la completa ignoranza della vostra situazione, di quella di tutta la famiglia. Perciò vi supplico di appagare questo grande desiderio. Da soldato vi scrissi una lettera che mi farebbe piacere se l’aveste ricevuta; di essa vi ripeto solo che vi ho compreso. Di me vi dico che sto ottimamente in salute. Aspettando giorno per giorno la vostra risposta stringo in un solo abbraccio voi tutti”.
Giuseppe era vivo, e la madre, mescolando gioia e angoscia, rispose al figlio prigioniero dei franchisti ricordando la sua fede per Santa Rita: “Mio caro figlio non mi sembra vero che nelle mie mani ho la tua calligrafia […] Sono contenta, veramente contenta perché dopo tante sofferenze ho avuto la grazia che volevo […] Un giorno mi venne l’idea di fare la novena a Santa Rita e allora feci portare a casa la statua della Santa […] Facemmo la novena con la supplica. Io la feci con tanta fede che non potevo leggere in una tirata la supplica, e ogni tanto ero costretta a fermarmi a piangere. Tu forse non mi credi, ma appena finita la novena, mentre stava ancora a casa Santa Rita e proprio nella tua camera, ebbi la prima tua notizia […]”.
Il voluminoso fascicolo del Casellario che riguarda Giuseppe Cristino custodisce anche una drammatica lettera inviata al padre, il 25 agosto 1939, da Robert Stek, un volontario americano che era stato compagno di prigionia del giovane irpino. Steck invitava Pietro Cristino a tenere vivo il contatto con il figlio: “Egregio sig. Pietro Cristino, sono un amico di vostro figlio Giuseppe, col quale ho trascorso diversi mesi di prigionia a San Pedro. Essendo stato più fortunato di lui, sono stato oggi rilasciato libero. Mi auguro che Giuseppe possa seguirmi subito […] La situazione dei prigionieri è veramente triste. Essi soffrono per la malnutrizione […] Le loro condizioni di vita, in generale sono anche pessime. Ai prigionieri è permesso ricevere pacchi e danaro. Vi consiglierei quindi di inviargli un pacco di viveri. Il danaro potrete inviarlo a mezzo della Croce Rossa. Innanzi tutto scrivetegli spesso, perché non tutte le lettere gli pervengono. Di modo che scrivendo spesso egli ne riceverà qualcuna […] Giuseppe è diventato uno studioso di lingue estere”.
Il giovane irpino fu costretto a sopportare un atroce calvario nei campi di concentramento spagnoli. E la sua disperazione, derivante dalle drammatiche condizioni di vita e dalla mancanza di una prospettiva che aprisse ai prigionieri una speranza di libertà, fu il filo conduttore dell’ultima lettera che inviò alla famiglia da San Pedro, il 26 novembre 1939: “Cara Mamma, ho atteso con vera impazienza per circa un mese una vostra lettera ed alcun pacchetto che mi avete annunziato nella vostra ultima, inutilmente […] Sono costretto a vivere di speranze ma cerco di non morire disperato. Ancora più mi rincresce che non sia arrivato qualche pacchetto dato che molto facilmente il giorno 28 c.m. andremo via da S. Pedro per andare a formare un battaglione di lavoratori a Belchite e ciò causerà qualche disguido nella posta […] Non ho potuto scrivervi prima perché ancora una volta non avevo la possibilità di comprare una cartolina […]”.
Nel 1941, il governo spagnolo decise di consegnare i combattenti antifascisti che erano stati catturati alle autorità italiane per il rimpatrio. Ciò significava sicura fucilazione, ma questo però non avvenne perché Giuseppe Cristino immolò in un altro tragico modo la sua vita di combattente antifascista. Nel mese di settembre fu stroncato da una fulminea epidemia di tifo che si era sviluppata tra i prigionieri.
I compaesani non dimenticarono il valore della sua scelta. In una lettera non firmata ed attualmente custodita presso l’archivio dell’Istituto Gramsci di Roma, il promotore della sezione del PCI a Montecalvo Irpino, così scrive il 5 gennaio 1944 ai dirigenti regionali del partito: “Caro compagno Maglietta […] ho creduto opportuno di dare il nome alla sezione d’un giovane comunista universitario di questo paese, caduto sul fronte della libertà, in difesa della Repubblica Spagnola. Il compagno Reale lo ha conosciuto. Si chiamava Giuseppe Cristino, figlio del farmacista di Montecalvo. La sezione si chiama: circolo di Cultura della Sezione Comunista ‘Giuseppe Cristino’. Penso che il Partito non troverà obiezioni a questa mia decisione, vero? La sezione ha cominciato a funzionare dal 1° gennaio 1944, come vedrete dalla tessera provvisoria che ho fatto fare […]”.
Il sommo sacrificio di Giuseppe Cristino rappresenta una testimonianza indelebile di coraggio in nome degli ideali di libertà e di democrazia, che spinsero il giovane irpino, e tanti come lui, ad immolare la propria esistenza per combattere il fascismo (dal Corriere dell'Irpinia).

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