Campi Salentina 14 luglio 1966

Emminenza, Eccellenze, Paternità reverendissima, Confratelli tutti. Popolo di Campi!
Mentre percorrevamo in processione le vie della Città legata al nome di S. Pompilio, mi domandavo quale era l'idea, il sentimento, che ci teneva uniti, che dava un senso cristiano alle
fragorose esplosioni come all'intima devozione, qual era il sentimento comune, che ci accompagnava dietro l'Urna del Santo.
E il mio occhio andava spesso dall'Urna del Santo, che contiene i resti che l'universale forza di distruzione ha risparmiato — il suo teschio, le sue ossa —, ai colori del cielo, di questo mirabile crepuscolo estivo, ai fiori, alle luci; e mi dicevo che qui era il segreto, che ci rendeva tutti ricchi di gioia: noi andavamo dietro i resti di un Santo con la certezza che egli vive, nonostante i segni della morte.
 Le nostre ossa contengono il germe della resurrezione.
In questo si distingue un Santo dai grandi del mondo, che pure noi dobbiamo nella loro giusta misura rispettare e venerare: che mentre i grandi della storia, coloro che illustrano l’umanità con la scienza, con le scoperte, con la poesia, con le creazioni di ordine politico, appartengono alla nostra storia mortale, sono al di qua della barriera che ci impaurisce, l'insormontabile barriera della morte, il Santo splende oltre, la sua grandezza non è al di qua della tomba, ma è oltre la tomba.

In lui non c'è soltanto il ricordo di quanto di grande ha compiuto nel passato, ma c’è come la trasparenza del futuro; in lui risplende l'età futura, verso cui tutti siamo avviati, popolo di Dio, che non abbiamo quaggiù il nostro domicilio permanente, ma che cerchiamo nel pianto e nella gioia la città futura. In noi esultava il futuro, perché le uniche ossa, che possano esultare, sono le ossa dei Santi. E' questo il mistero cristiano, dunque, che noi commemoriamo con maggiore o minore coscienza, in una circostanza come questa: il mistero della carità di Dio, che ci ha raccolto dalla dispersione e dalla legge ineluttabile della morte, facendo di noi il popolo dei risuscitati. Le nostre ossa contengono il ger-me della resurrezione! Noi dobbiamo proclamare con forza, convinzione e letizia questa incredibile speranza, incredibile, se Dio non ce l'avesse certificata con la resurrezione di Gesù Cristo.
 

I Santi nel popolo di Dio ricordano al nostro cuore il destino di gloria, a cui siamo chiamati.
La santità di un Santo non è che la santità inaccessibile di Dio, la quale, per suo consiglio imperscrutabile, è discesa come un'incandescenza nella notte mortale dell'uomo e l'ha fatta tutta illuminata. La santità di Dio si è comunicata agli uomini attraverso il Cristo, preparato nei secoli, e nel Cristo della resurrezione. E come nel sabato santo, durante la veglia pasquale, al cero pasquale, che splende nella notte, i fedeli accendono ciascuno la propria candela, la propria fiammella, così al Cristo risuscitato noi accendiamo la nostra santità di popolo di Dio, di popolo santo di Dio.
Nel Santo risplende apertamente la luce, che in tutti noi, cristiani battezzati, risplende.
Che se il segno del battesimo è in noi, in noi è la luce del Cristo risorto. Ma in noi la luce è coperta dalla caligine della mediocrità, se non dalla tenebra del peccato. Nel Santo essa ha la mirabile trasparenza, che risplende attorno e attraverso i secoli. Ma la santità del Santo e la nostra santità di cristiani: noi siamo legati al suo mistero. Ecco perché la nostra è una festa; ecco perché, nonostante che siamo raccolti attorno a un teschio e a delle ossa, noi siamo nella letizia, perchè i Santi nel popolo di Dio ricordano al nostro cuore, che rischia di farsi prone, legato alla terra, ricordano il destino di gloria, a cui siamo chiamati.
 

Guardate quale mirabile evento attorno alle ossa di un Santo !
Sia benedetta, dunque la memoria dei Santi! E benedetta la memoria di questo Santo, perché è per Lui, che siamo qui raccolti! Vorrei dire a coloro che hanno, se ce ne sono, il cuore dubbioso, che hanno l'intelligenza viziata da un razionalismo, che impedisce gli entusiasmi e l'umile adesione del cuore, vorrei dire a loro: «Guardate quale mirabile evento attorno alle ossa di un Santo! Da due secoli Egli è morto, qui in questa cittadina; ma come vive!». E la sua non è una vita rievocata dalle cattedre, faticosamente lanciata da comitati organizzativi; è una vita che si accende nel segreto dei cuori, rimane di generazione in generazione, sino alla fine dei secoli. Egli ha vissuto su questa terra, ed è come se questa terra portasse l'impronta della sua santità, avesse bevuto la sua segreta luce e adesso ce la trasmettesse. Chi sa quante volte Pompilio e passato per queste stesse strade due secoli fa! Soltanto qualche anima consolata, qualche povero soccorso potevano guardare a Lui con una particolare venerazione. Ma Egli era un povero frate, umile, dall'aria dimessa, che camminava senza grande fama, se non quella che la sua santità giorno per giorno gli raccoglieva nel segreto del confessionale o nell'intimo colloquio della predicazione. Ed ecco, dopo due secoli, le sue ossa sono celebrate dal popolo di Campi. La sua memoria ha germinato nei secoli. Segno che c'è nella Chiesa, nel popolo di Dio, un tesoro, che non si distrugge; e c’è nel volto di S. Pompilio una ricchezza di insegnamenti, che è bene ricordare, sia pure brevemente, perchè questa circostanza non passi nello stordimento della festa, nell'esteriorità delle manifestazioni, ma ci lasci nel cuore il germe di un pensiero, ci lasci nel cuore un desiderio di trasformazione, di penetrazione nel mistero della Santa Chiesa, di cui ogni Santo porta più visibile il riflesso.
 

S. Pompilio è il Santo della assolutezza di Dio; Dio è tutto, il resto è nulla.
S. Pompilio è un Santo, che nel suo secolo, in maniera semplice, dimessa, ha manifestato il genio della carità cristiana. Sempre la santità non è che carità; è la carità di Dio, che diffusasi nei nostri cuori, anzi diventata l'anima del popolo cristiano, qua e là fiammeggia con luce straordinaria. E' la carità di Cristo, che fa la grandezza dei Santi. E la grandezza di S. Pompilio è la carità, vissuta secondo il suo genio particolare e secondo l'indole particolare del suo tempo, ma con tratti di universalità e di perennità, che vanno ricordati.
Innanzi tutto S. Pompilio è il Santo, che ha portato all’interno di una società, dove la religione spesso diventava formalismo, conformismo, se non cortigianeria, ha portato, mirabile, fiammeggiante, l'assolutezza dell'idea di Dio; è il Santo, che non diceva in fondo altro che questo: «Dio o tutto, il resto è nulla»! Ma, vedete: questa frase, chi di voi, cristiano, non la ripete convinto? Tutti la diciamo convinti, ma la diciamo convinti con moderazione, tanto da accomodarla agli altri amori, tanto da comporla con le altre idee in modo che Dio non le scomodi, non le turbi, ma il Santo prende sul serio Dio. Lo prende sul serio fino a farne il motivo unico della propria vita, fino a imbeversene nel sangue, vorrei dire, nelle fibbre della carne. E S. Pompilio era il predicatore dell'assolutezza di Dio, e, dovunque andava, scomodava, turbava l'ambiente, anche l'ambiente religioso, perché egli prendeva sul serio Dio; tutte le sue parole, i suoi pensieri, le sue espressioni erano conseguenziali alla certezza che Dio è tutto. E allora quest'idea bastò a renderlo un vagabondo, uno che se ne andava di città in città, di convento in convento senza trovare mai stabile dimora, adeguata comprensione, perché in ogni luogo la sua idea di Dio lo rendeva estraneo, destinato all'esilio. Ed Egli se ne andava da Lanciano, a Napoli, a Chieti, ad Ancona, a Lugo, a Campi finalmente, dove trovò pace e comprensione e, finalmente, il bacio ultimo di Dio. Egli ha portato questa idea luminosa, che è l'idea di sempre per noi cristiani. Noi siamo coloro che in qualsiasi epoca, per varie che siano le civiltà, affermiamo che Dio è l'unica cosa necessaria.
Solo che a volte lo diciamo così male, o, meglio, lo viviamo così male questo principio, che la gente non ci prende sul serio. Ed io non so se abbiamo ragione noi o ha ragione la gente. L'importante è che l’idea di Dio diventi, come nei Santi, un fuoco, un metro di tutte le cose, un principio e un termine di tutti i ragionamenti. S. Pompilio è il Santo della assolutezza di Dio! E la ragione intima, per cui Egli, ovunque fosse, era un escluso, un rigettato, è questa: che Dio per Lui era estremamente serio.

S. Pompilio amava Dio con la passione del cuore.

Ed egli sapeva parlare di Dio — ecco un altro tratto legato al suo tempo, eppure universale —, con un linguaggio appassionato. Egli amava Dio con passione sanguigna, vorrei dire, con tutta la forza dei suoi istinti. Si può amare Dio in tanti modi. Il carattere umano è diverso; ogni Santo si distingue da un altro Santo nella chiarezza e nel colore, vorrei dire, come una stella è diversa dall'altra stella. S. Pompilio amava Dio con la passione del cuore, Eravamo in un tempo, in cui l'illuminismo crescente introduceva anche negli ambienti religiosi il gusto del sillogismo, del ragionamento astratto, del puro metodo scolastico, che spegneva il cuore. E l'intelligenza moderna, che si avviava verso le esperienze nuove della scienza, aveva contagiato anche un certo mondo cattolico, in cui la religione spesso non era che ragionamento, discussione. Ed ecco allora la grande protesta della santità: le ragioni del
cuore opposte alle sterili ragioni della ragione Perché le ragioni del cuore, se ben intese, se comprese, sono più profonde che non le ragioni dell'intelletto scientifico. Esse ci portano alla profondità dell'essere, ci fanno toccare le radici del mondo, ci portano nel solco recondito dell'esistenza, dove il mistero dell'uomo e il mistero di Dio si intrecciano in un solo tessuto. Ebbene S. Pompilio ha saputo mostrare Dio con passione. Egli parlava di Dio come un innamorato canta le serenate. Utilizzava il linguaggio dell'amore, usava arditissime metafore per esprimere una passione religiosa, che era diventata passione intima del proprio cuore, anche dei propri istinti, secondo il realismo proprio del Vangelo.
S. Pompilio nel suo tempo, arido, formalistico, ha portato il segno di questa grande passione di Dio, che ancora ci infiamma, che ancora ci scalda.
 

S. Pompilio ha ridotto il Vangelo a quest'essenza mirabile: all'annuncio della misericordia e quindi al fiore della letizia cristiana.
L'altro tratto della sua fisionomia, perenne, è la sua predicazione della misericordia di Dio.
In quel tempo, soprattutto nel regno di Napoli, si era diffuso un certo giansenismo, secondo cui l'educazione cattolica doveva insistere soprattutto sulla giustizia di Dio e doveva riflettersi in una devozione intimorita, che si esprimeva nei gesti della paura, nel rigorismo ascetico.
Questo aristocratico cattolicesimo, che ebbe prosperità nelle corti europee ed anche in quella di Napoli, si trovò in contrasto con la predicazione del P. Pompilio, che a Napoli soprattutto esprimeva il primato della misericordia.
Che avremmo noi, se non avessimo questa verità? Se noi qui presenti fossimo certi che Dio è soprattutto giustizia e che Egli chiederà conto a ciascuno di noi di tutti i nostri pensieri per giudicarci con obiettivo rigore, chi si salverebbe? Noi saremmo una massa condannata. Ma no! L'annuncio evangelico è questo — e dobbiamo portarlo nel nostro cuore con forza e letizia — che Dio è Misericordia, che Egli è Amore per i peccatori, che Egli cerca lungo i secoli le pecorelle smarrite, che Egli attende, come il Padre del figliai prodigo, con palpito instancabile il ritorno dei lontani, e non per far la predica, ma per abbracciare i lontani e per imbandire il banchetto della letizia, il banchetto del ritorno del figliai prodigo. Il mistero di Dio, secondo la rivelazione evangelica, è qui: Egli è la misericordia. Perciò noi tutti, che siamo peccatori e ci battiamo il petto ogniqualvolta ci accostiamo all'altare, abbiamo il diritto a godere della misericordia di Dio.
E S. Pompilio sapeva esprimere quest’idea della misericordia con parole così appassionate, che i suoi confessionali diventavano assediati di popolo. E allora l'arcigno moralismo di qualcuno vedeva in questa predilezione dei fedeli un segno equivoco e S. Pompilio era perseguitato, perché era il distributore generoso della misericordia di Dio. Venne mandato via da Napoli proprio per questo, perché la sua predicazione della misericordia affollava il suo confessionale e affollava la mensa eucaristica.
Ma S. Pompilio, questo predicatore della misericordia di Dio, seppe sopportare, ogni persecuzione, mostrando, come fiore mirabile di questa certezza religiosa, la letizia cristiana. Perchè chi ha l'idea del Dio Misericordia, non può che essere pieno di letizia; la letizia cristiana non è la letizia che ha ragioni umane, quella che nasce dall'esperienza completa della vita terrena, dal successo, dall'amore, no: la letizia cristiana nasce da questo semplice ragionamento: Dio ci vuoi bene, nonostante tutto, dunque siamo allegri. Siamo allegri, o come diceva S. Pompilio, siamo disinvolti! Perchè Dio ci ama, ha usato misericordia con tutti noi e il Cristianesimo è sempre questo: annuncio di misericordia per gli uomini peccatori, diritto dell'uomo di essere allegro, perché Dio lo ama. S. Pompilio ha ridotto il Vangelo a quest'essenza mirabile: all'annuncio della misericordia e quindi al fiore della letizia cristiana.

S. Pompilio era il predicatore del popolo.
Proprio per questi aspetti della sua figura e della sua predicazione Egli fu un Santo profondamente popolare. Eravamo nel secolo, in cui il popolo umile, legato al lavoro dei campi e al lavoro dell'artigianale, si stava separando dalla classe che usufruiva dei primi cenni del benessere; e allora il Cristianesimo si legò più profondamente al popolo là, dove i Santi seppero trasmettere il messaggio di giustizia e di amore con semplicità. S. Pompilio era il predicatore del popolo. Mentre i sacerdoti spesso
si abbandonavano al gusto letterario della retorica del tempo, diventavano più o meno cappellani di corte. Egli era il Sacerdote del popolo, e diceva con forza: Io non ho altra forma di predicazione, che la Scrittura e il Crocifisso. E rifiutò tutte le forme di retorica, tutte le forme arcaiche, tutte le forme barocche di predicazione. E questo suo modo di aderire alla parola della Scrittura e al potente realismo della Croce di Cristo, lo introduceva nel cuore del popolo e lo rendeva incomprensibile alle classi privilegiate.
Ma io credo questo, popolo di Campi: che se l'Italia Meridionale è rimasta più di ogni altra parte d' Italia, legata ai succhi terreni, vorrei dire, del Cristianesimo, se sente ancora la tradizione cristiana con tanta forza, con tanta potenza di sangue, ciò è dovuto al fatto che il popolo cristiano del Meridione ha avuto dei Santi capaci di trasmettere la sostanza del Vangelo nell'umile linguaggio, nei modi semplici e immutabili delle virtù popolari.
Noi ritroviamo nel volto umile del Santo, che dalla cattedra al confessionale, al pulpito ha diffuso la sostanza della carità di Cristo, ritroviamo proprio i problemi e le verità, di cui abbiamo bisogno in questo versante nuovo della storia del mondo.
 

Noi siamo un popolo che pensa al futuro, ma portiamo con noi i Santi per avere la certezza che il passato ci segue.
Ora il Concilio ci ha detto parole nuove; ci ha additato nuovi orizzonti. Ci domandiamo: Noi cristiani di quest’età nuova, che è stata segnata luminosamente da interventi di Dio, noi dobbiamo volgerci al passato con spirito commemorativo? Dobbiamo fare dei Santi soltanto dei nomi da venerare con particolare solennità in alcuni centenari? Noi non siamo un popolo che fa i centenari; noi siamo un popolo, che pensa al futuro! Il nostro occhio si fissa sull'orizzonte ultimo del futuro, dove per gli altri uomini c'è il buio che fa paura e dove per noi c'è la luce della speranza.
Noi portiamo con noi i Santi nel nostro viaggio, portiamo le ossa dei Santi, come gli antichi portavano le ossa dei loro antenati, dei loro cari di paese in paese, quasi a tracciare una linea biologica di continuità. Noi portiamo i Santi per avere la certezza che il passato ci segue verso il futuro. L'umanità intera è un pellegrinaggio, se ci pensiamo bene. In processione ci vanno anche quelli che stanno a sedere, perché verso la morte ci vanno tutti. Siamo tutti incamminati, alcuni vanno cantando con la voce della speranza, altri sono impauriti, i più vogliono non pensare al termine del pellegrinaggio; ma siamo tutti in cammino. L'umanità è incolonnata verso il suo fine; ma noi, popolo di Dio, ci distinguiamo dagli altri non perché camminiamo dall'altra parte, non perché ci separiamo dalla solidarietà umana, che ci stringe alle disperazioni e alle speranze umane, ma perché portiamo nel cuore il senso del termine del viaggio, perché sappiamo dove andiamo. E questa certezza è resa mirabile dai Santi. Ora, in questo versante nuovo della storia, noi dobbiamo, secondo le indicazioni della Chiesa e secondo l'essenziale insegnamento dei Santi, aprirci alle nuove strade del mondo.
Popolo di Campi, tu, che porti in te mirabili tradizioni di Cristianesimo, fedeltà così ferme ai principi del Vangelo e alle tradizioni della tua storia, ricordati di aprirti al futuro, perché i Santi non ti chiamano al passato se non per aprirti all'avvenire. Apriti alle vie del domani; cadono nuovi condizionamenti della natura e della società, lo spazio della libertà umana cresce. Questo non è un motivo per abbandonare i Santi; essi ci devono accompagnare nel nuovo cammino.

Popolo di Campi, sii fedele alla tua eredità; porta con gioia l'onore
che la Provvidenza ti ha fatto.

Popolo di Campi, sii fedele alla tua eredità. Porta con gioia l'onore che la Provvidenza ti ha fatto, consacrando la tua terra con le ossa dei Santi; ma guarda all'avvenire con coraggio. Il coraggio, per chi guarda al futuro, è anche fedeltà al passato. I Santi questo ci insegnano. E vorrei che in questa sera, in cui ciascuno, con animo diverso, con ragioni personali, si raccoglie attorno a quest'Urna a ripensare al passato, tutti insieme ci aprissimo all'avvenire nel nome dei Santi e della Chiesa che è Santa. Questo avvenire sia grande; esso sarà diverso dal passato. Anche regioni, un tempo remote dal soffio del progresso, sono sconvolte dalle trasformazioni sociali. Qualcuno prevede che, così andando le cose, la memoria dei Santi sarà cancellata. Noi diciamo: Non sarà cancellata. Perché mentre le altre memorie sono legate alla provvisorietà degli ideali umani, la memoria del Santo è legata alla speranza eterna e all'eterna paura della morte. I Santi son sempre con noi, perché essi ci accompagnano verso quel termine ultimo, dinanzi al quale ogni progresso di civiltà è zero, non vale nulla. I Santi son perenni, perché la loro luce tocca i palpiti perenni dello spirito umano.
Noi auguriamo al popolo di Campi, che ha saputo dare cosi stupenda manifestazione di fedeltà a S. Pompilio: sappia percorrere le nuove vie della storia senza mai venir meno alla eredità privilegiata, che ha ricevuto. E vorremmo accostarci al popolo, che così ospitalmente ci ha accolto, dicendo: noi che crediamo nella verità del Cristo, che siamo il popolo santo di Dio, che siamo aperti ai nuovi tempi, noi promettiamo insieme a voi la fedeltà ai nostri Santi.
E che Dio dal cielo ci benedica. Faccia sì che la nostra devozione non sia mai vanità, esteriorità e superstizione; faccia sì che il nostro amore per i Santi non sia che un aspetto del nostro amore per Cristo Gesù; faccia sì che la nostra gioia cristiana non sia che un anticipo, una specie di pallido crepuscolo di quel giorno ultimo pieno di gloria, in cui anche noi, risuscitati, saremo insieme ai Santi una sola cosa col Signore.

Copyright  Parrocchia S. Pompilio Maria Pirrotti

 

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